Gli occhi vispi e il sorriso sospeso fra innocenza e malizia di Claudia Cardinale che fanno capolino da dietro un ventaglio; i volti riarsi, segnati, terrosi a tratti, di tanti mafiosi; i lineamenti rilassati di Lee J. Cobb; Franco Nero, giovane e svagato, che in uno scherzoso gioco di specchi si trasforma in fotografo: le istantanee colte da Enrico Appetito durante le riprese del film ispirato al più noto e tradotto romanzo di Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, attirano e ammaliano lo sguardo, s’abbarbicano alla memoria, ci raccontano un mondo che, sebbene prossimo al nostro presente, ci appare per certi versi assai lontano. Un mondo divertito e divertente, scanzonato perfino, dove, in verità, la gente non pareva prendersi troppo sul serio; e al contempo ci riconducono ad un cinema italiano inventivo, capace di narrare storie coinvolgenti, venduto e visto in ogni angolo del pianeta. Ma, tra i numerosi scatti di questa mostra, uno mi sembra, come suol dirsi, emblematico: quello che ritrae il regista Damiano Damiani, nel caldo torrido della Sicilia, appollaiato su una sedia a rotelle, con la macchina da presa in mano, che si prepara a girare. Una fotografia che ci sussurra spontaneità, e che con una vago senso di ridicolo più che di riprovazione ci fa considerare tanta chiassosa ostentazione dei giorni nostri.
Forse è soprattutto per immagini come questa che la mostra s’inserisce perfettamente nel percorso che la Fondazione Leonardo Sciascia sta costruendo in questo 2021: cento anni dalla nascita del grande scrittore, di un uomo che, per la sua semplicità come per la sua lungimiranza, manca all’inane, omologata società dell’oggi. Eppure, il ritorno a relazioni più sane e solidali è ancora possibile, come lo è il ritorno alla libertà e alla giustizia: le opere di Sciascia sono ancora lì a dimostrarcelo. Così come, puntuali e gioiose, ce lo dimostrano le foto di Enrico Appetito.
Fabrizio Catalano