Trent’anni fa nasceva la Fondazione Sciascia: perciò oggi onoriamo la ricorrenza, perché le carte, i documenti dell’ufficialità ci dicono che è questa, in effetti, la data del pubblico debutto, delle attività accreditate.
Ma la Fondazione era nata prima, molto prima. Era nata quando, ancor vivo Sciascia, gli amministratori racalmutesi d’allora (che in parte, e per fortuna, sono anche quelli di oggi: è il caso di Enzo Sardo) manifestarono allo scrittore la volontà d’intitolargli per l’appunto una fondazione che ne perpetuasse il magistero e agevolasse gli studi sull’opera sua, e promuovesse perciò Racalmuto a cattedrale della cultura.
Schivo com’era e poco propenso all’esibizione, oggi invece doverosa e urlata se si vuol passare per intellettuale, Sciascia intese sì l’importanza che un centro culturale di rilievo internazionale avrebbe avuto per la sua Regalpetra, ma era inizialmente contrario a intitolarselo: propose semmai il nome di Diego La Matina, l’eretico racalmutese “di tenace concetto” protagonista di Morte dell’inquisitore.
Ma si prestò comunque all’iniziativa, decise gli organigrammi e le finalità della futura fondazione e tutto ciò che di suo vi sarebbe stato esposto, ebbe tra le altre un’idea della quale non ho smesso un istante di essergli grato.
Quale idea? Qualche tempo dopo, squilla il telefono di casa mia: all’altro capo c’è Natale Tedesco, di Sciascia caro amico e per me maestro e “fratello maggiore”. Con gioia mi annunzia che lo scrittore ha pensato a me, proprio a me, allora trentacinquenne o giù di lì, e non a uno dei suoi illustri confrères, per la carica di direttore letterario, dunque per presiedere alla programmazione culturale e alle attività scientifiche della istituzione nascitura.
Si era consultato con l’amico Natale, che ora si affrettava a preannunziarmi una telefonata dello scrittore, che giunse poco dopo.L’emozione di quel momento dura ancora: Sciascia lo conoscevo, ne ero devoto come tanti, e sapevo che aveva apprezzato alcuni miei scritti, ultima la monografia che avevo dedicato all’opera sua. Tutto qui.
Iniziò da quel giorno una frequentazione più assidua, in cui ai suoi leggendari silenzi si sommavano i miei, e che culminò con la duplice firma dell’atto unico Quando non arrivarono i nostri per il Trittico Bufalino-Consolo-Sciascia messo in scena dal Teatro Stabile di Catania nel novembre 1989.
Il 20 dello stesso mese Sciascia ci lasciò.
Restavano per fortuna i suoi amici più cari, che lui volle pure impegnati nella Fondazione: Aldo Scimè, che per parecchi anni ne fu la colonna portante, Salvatore Restivo, Pietro Amato, Nino De Vita, Ferdinando Scianna, Franco Sciardelli, e gli studiosi e i politici da lui prediletti, che ci hanno accompagnato a lungo: Claude Ambroise, Mario Fusco, Titus Heydenreich, Marco Pannella, Emanuele Macaluso. E poi c’erano i generi, mariti delle figlie Laura e Anna Maria: Salvatore Fodale, Nino Catalano, attenti e generosi gestori di quel prestigioso lascito intellettuale e materiale.
Ma questa è un’altra storia.
Oggi si brinda al suo inizio, a trent’anni di ininterrotta attività culturale, perché – ancorché Sciascia talvolta ne dubitasse – «la memoria ha un futuro».
Antonio Di Grado